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IL SOGNATORE, un racconto di C. Mazzoni






Dunque. Stiamo parlando d’ un sognatore.
Ce n’è ancora qualcuno sparso qua e là per il mondo.
In genere i sognatori non s’incontrano mai – semmai soltanto in sogno.
Il nostro sognatore, come tutti i sognatori, aspettava.
Che cosa? – direte voi.
Che qualcosa capitasse.
Aspettava qualcosa. E ogni giorno aspettava una cosa diversa.
Neppure lui avrebbe con precisione saputo indicarvi che cosa.
Si sedeva su una panchina e osservava la gente passare.
Osservava dalla propria finestra di casa le finestre di altre case e la gente dietro a quelle finestre.
Osservava e immaginava.
Immaginava la loro vita, dentro quelle case, e il loro lavoro, fuori da quelle case, e i loro sogni, dentro alle loro teste.
Li conosceva bene, anche se non s’erano mai incontrati.
Li conosceva meglio di quanto essi stessi si conoscessero – ma questa, forse, era soltanto la presunzione d’un sognatore.
Sapeva i loro orari, i loro gusti. Da un bavero rialzato indovinava un incontro mal riuscito, da uno sguardo smarrito il sogno di una notte insonne.
La gente non si vede dal di fuori, non conosce i propri tic, le proprie manie.
Ci sono gesti istintivi, che compiamo senza avvedercene, ma che sono la precisa conseguenza di un nostro stato d’animo.
Lui conosceva quei gesti – o aveva la presunzione di conoscerli.
Il mondo era una mappa da decifrare.
E lui ne sapeva il codice.
La sua giornata seguiva regole fisse: al mattino si sedeva innanzi l’alba al parco, su una panchina.
Consumava lì la sua colazione – croissant e tè freddo.
Verso le dieci faceva una lunga passeggiata per il corso principale.
Poi andava in libreria – non, come tutti, per comprare un libro, ma per guardare la gente mentre dà un’ occhiata qua e là, a questo e a quello, sino a scegliere il libro giusto o a non sceglierne alcuno affatto.
Gli piaceva lo sguardo pensoso, perduto nei meandri delle parole, negli anfratti del discorso. Gli piaceva l’unghia mordicchiata nella concentrazione, la fronte corrugata, la mano passata nei capelli lentamente: una due tre quattro volte….. sempre più lentamente…. Sino a quell’attimo in cui tutto diventa chiaro, limpido, cristallino..
Lavorava di notte, quando gli altri dormivano. E di giorno, quando gli altri lavoravano, non riposava, ma li osservava.
Non dormiva mai, ma sognava sempre.

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