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L'INCONTRO, un racconto di C. Mazzoni





Quello che mi è capitato. Una storia, come tante, che capitano.
Il più delle volte si racconta ciò che non capita, perché non capita, appunto.
Il più delle volte si desidera che capiti qualcosa, e lo si desidera precisamente perché si sa che non succederà: è un paradosso ma è così. Ma questo è successo per davvero, e ciò che è successo è niente. Non è successo niente. O tutto.
Dico: perché deve succedere qualche cosa perché ci sia qualche cosa da raccontare?
Ecco la storia. Dopo, a racconto terminato, tutto sarà più chiaro.
Ero in una città – non dirò quale -, una delle tante. Era una città romantica, per la verità, non una delle tante.
Non era la mia città, in ogni caso. Non era il mio paese. Non era la mia lingua.
Ero là per girare un documentario.
Giravo la città e la riprendevo. Facevo un film di una città. Non importano i motivi, le specifiche della commissione: questo non importa alla storia – in ogni storia c’è sempre un dettaglio da omettere, si sa, anche se spesso, però, senza il dettaglio non ci sarebbe neppure la storia, si sa – e questa storia non fa eccezione.
Dunque: giravo per la città con tre occhi: due miei e un terzo – quello della telecamera.
Notai una ragazza. Una ragazza strana. La notai perché era strana. Vestiva tipo Cappuccetto Rosso: un Cappuccetto Rosso moderno, aggiornato ai tempi: aveva le scarpe rosse, uno strano modello di mocassini appuntiti. Procedeva come un siluro fra la folla: lei passava e la folla si apriva, quasi si aprisse per lei, per farle largo; voglio dire: non era lei a farsi largo fra la folla, era la folla ad aprirsi al suo passaggio.
Dapprima l’ebbi davanti, immediatamente davanti a me, fra la calca – fu quando la notai – dapprincipio -, poi l’ebbi un poco più davanti, poi molto più avanti – e fu allora che decisi di seguirla.


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