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C. MAZZONI IN DIECI RISPOSTE




Scrissero: "Che dire? Che dire della coscienza, orribile spettro sul mio cammino?". Oggi tutto è una questione di coscienza - per chi ne ha una.

Tutti abbiamo bisogno di un pubblico, fosse anche di una sola persona. Certi, poi, hanno bisogno di un pubblico per mestiere. Gli Antichi dicevano: felicità è bastare a se stessi. Qualcuno, più a proposito, ha detto: la cosa triste, nella felicità, è che bisogna sempre essere in due.

L'età anagrafica ha un risvolto soltanto formale. Io divido la vita in due fasi: nella prima si cerca di guadagnare un proprio punto di vista sul mondo, nella seconda si difende il proprio punto di vista. Non uscire dalla prima fase, nonostante l'età, è un privilegio per pochi: infatti significa mantenere una capacità critica nei riguardi di se stessi, essere ancora aperti al cambiamento. Io dico: l'importante non è avere le risposte, ma porsi ancora delle domande. L'Arte deve porre delle domande, non dare risposte. La Filosofia deve innanzitutto porre domande e soltanto in seconda istanza dare delle risposte. L'istanza socratica è l'istanza filosofica per eccellenza.

Ricominciare? C'è gente che comincia una volta sola. Io amo ricominciare ogni volta da capo.

Odio ogni forma di disciplina che non sia quella che uno impone a se stesso. A mio avviso, il metodo migliore d'apprendimento è quello per prova ed errore. Tutto ciò che sappiamo veramente fare, l'abbiamo imparato da noi.

Tutto quello che ritengo di saper veramente fare, l'ho imparato da autodidatta. Questo mi dà un vantaggio: ho un mio metodo. Questo mi dà uno svantaggio: è il mio metodo.

Esistono Autori che o si odiano, o si amano. E se si odiano, si odiano ferocemente, se si amano, si amano alla follia. Sono quegli Autori che non si sono auto-censurati, che sono stati onesti con se stessi, che si sono assunti dei rischi. Questi Autori sono pochi - sono sempre stati pochi. Oggi si contano sulle dita di una mano.

Il talento è una di quelle cose che non si possono imparare, nè insegnare. Il talento o ce l'hai, o non ce l'hai. Questo non significa che il talento non si possa coltivare, educare, migliorare.

In genere le storie che scrivo hanno un finale aperto: non dico che il finale non ci sia, ma lo si intravvede appena, al di là dell'orizzonte ed in modo tale che potrebbe essere altrimenti da quello che è. La decisione ultima è dello spettatore o del lettore. Credo le storie migliori siano quelle il cui finale può sempre essere un nuovo inizio. La vita di tutti noi in certi momenti è stata "da film": il fatto è che quei momenti passano, come finiscono i film. Se un film vuole essere veramente realistico deve non finire: il finale aperto è la forma suprema del realismo. Realistico è tutto ciò che parte dalla vita per ritornare alla vita.

Realistico non è copiare la realtà, ma coglierla. I film storici, così come quelli biografici, non sono realistici. Non lo sono nemmeno inteso il realismo come riproduzione della realtà: infatti, per quanto siano dettagliati, non saranno mai la realtà che riproducono. Le mie storie non hanno un'ambientazione storica, anche quando sembrano averla. Io posso evocare fatti storici, ma quei fatti non sono i fatti storici. Io posso evocare luoghi reali, ma quei luoghi non sono i luoghi reali. Con ciò non dico di non ammirare coloro che scrivono storie o fanno film di questo genere. Questo genere di film richiede molta più dedizione, impegno, lavoro, studio.

Il compito di un film, di una piéce teatrale o di un libro non è quello di rendere la vita più piacevole o più bella o più vivibile, ma è quello di rendere la vita in questo o quel suo aspetto un problema. Una storia deve toccare quegli aspetti della vita nei quali essa diviene un problema. L'abisso della psiche umana è un problema, l'abisso del caso, del dolore è un problema. L'abisso dell'amore è un problema. Lo spettatore-lettore, uscendo dal cinema, dal teatro, o dopo la lettura di un libro, non deve più essere quello di prima: deve avere nuovi occhi, nuove orecchie.

Non bisogna mai sottovalutare il pubblico. L'errore principale è prendere il pubblico per quello che è e non per quello che potrebbe essere.

Tutte le storie che scrivo hanno un fondo di verità e sono in certo modo autobiografiche. Molti dialoghi sono autobiografici. L'arte, tuttavia, non sta nel raccontare se stessi, ma nel sublimare la propria vita, nel farne un paradigma. Arte è raccontare la propria vita come se non fosse la propria vita. La prima cosa, per un artista, è saper guardare - innanzitutto se stesso.

Dicono che le parole vengano da sè, e che agli Autori non resti che catturarle. Credo sia vero. In un dialogo le parole vengono da sè, se hai il sentimento. Innanzitutto devi immedesimarti nel personaggio, essere il personaggio, poi le parole vengono da sè. Innanzitutto devi avere i caratteri, poi le storie vengono da sè. Nell'ordine penso dapprima i caratteri, poi i dialoghi, poi le storie.

Per un testo filosofico l'imprecisione è un difetto perchè dà adito ad una pluralità di interpretazioni possibili. Per un' opera d'arte è un pregio, e questo per lo stesso motivo. La prosa è tanto migliore quanto più si avvicina alla poesia, cioè quanto più evoca e quanto meno dice.

Ammiro i musicisti, perchè non hanno bisogno di parole.

In un uomo la bontà è l'ultima cosa che si vede, ma la prima che si giudica. I miei personaggi sono cattivi, ma solo all'apparenza.

Un uomo non è quello che è oggi, ma è quello che sarà domani o dopodomani o quello che forse non sarà mai. Nessun uomo è mai totalmente quello che può essere: questo è un bene, poichè ci dà una meta ed una misura di noi stessi. Quello che potremmo essere è la misura di quello che siamo.

Un uomo che sa scrutare in profondità è un uomo che vede gli altri e se stesso non per quello che sono, ma per quello che potrebbero essere.

Viaggiare con una meta non è viaggiare: è andare da qualche parte. Con gli anni tutti perdiamo il senso del viaggio. Oggi tutti - chi più, chi meno - andiamo da qualche parte.

Il mio pensiero sulla vita è che in ogni caso è degna d'essere vissuta. Non si può raccontare ciò che non si conosce. E non si può conoscere ciò che non si prova in prima persona. Vivere è il primo imperativo di ogni artista.

L'ottimismo? Il vero ottimismo è sempre frutto di conquista. Gli ottimisti ingenui, quelli per partito preso, alla prima difficoltà saranno i più fervidi pessimisti. Io sono un ottimista, ma non ingenuo. Questo, per qualche ingenuo, può significare essere un pessimista.

Certa gente si prende troppo sul serio: lo si riconosce dal loro tono, da come parlano, da come scrivono. Altri, invece, sanno ridere di se stessi. E, anche in questo caso, lo si riconosce dal loro tono. Io sono uno di quelli che si prendono sul serio. E, come tutti quelli che si prendono sul serio, spero un giorno d'imparare a ridere di me stesso. Quel giorno cambierò tono. Quel giorno scriverò una commedia.

Ammiro l'intelligenza, specie laddove non dovrebbe esservi, ossia laddove uno non s'apetterebbe di trovarla.

Io ho una visione stacanovista della vita. La vita non ci appartiene più di quanto ci appartenga la nostra nascita. Vivere è in certo modo un dovere. Realizzare i nostri talenti è il dovere sommo. Un talento non è mai un dono, ma spesso è un peso, in ogni caso un dovere. Un talento è un segno del destino. Nietzche diceva:"ciascuno è il compito di se stesso".

Io credo esista un destino per ognuno di noi. Possiamo sfuggire al nostro destino, o possiamo accettarlo. Ci sono segni del destino per chi ha occhi per vedere ed orecchie per sentire.

Ciascuno di noi è figlio del caso, sin dal concepimento, il quale non è altro che un fortuito incontro di un certo spermatozoo con un certo ovulo. La nostra libertà sta nello scegliere fra un numero di possibilità date - sempre. Spesso si muore, per un caso (passi per la strada e una tegola ti casca in testa), spesso si vive per un caso (passi un secondo prima o dopo che la tegola cada). Ma è veramente un caso?

Esiste una logica pressochè matematica nel caso: quando ti aspetti che una cosa capiti, non capita; quando non te l'aspetti, capita. Questa è quella che chiamano "ironia della sorte".

Nietzche diceva: "Eroico è muovere incontro al proprio supremo dolore e insieme alla propria suprema speranza". Fra Ettore e Achille ho sempre parteggiato per Ettore, non soltanto perchè era un perdente, ma perchè sapeva di esserlo. Combattere con tutte le proprie forze, disperatamente, sapendo di essere destinato alla sconfitta: questo è eroico. Tutti i miei protagonisti sono eroici in questo senso.

De Andrè diceva che, pur avendone la possibilità, non volle mai incontrare l'uomo che per lui era un mito, e questo poichè sapeva che dopo quell'incontro avrebbe potuto non esserlo più. Nietzche diceva che il rispetto esige distanza. Io dico che gli idoli non esistono. Gli idoli ce li fabbrichiamo da noi per avere qualcuno dinnanzi al quale prostrarci, qualcuno da invidiare, qualcuno da imitare. Dovremmo imparare a non avere più bisogno di idoli. Dovremmo imparare ad essere l'idolo di noi stessi. Ma forse non siamo noi ad avere bisogno di idoli: forse è la società che ha bisogno che noi abbiamo bisogno di idoli.

Non ho nulla contro l'ambizione. Se non fosse stato per l'ambizione, l'uomo non sarebbe mai uscito dalle caverne. Il problema si pone quando non c'è nulla fuorchè ambizione.

Esistono due sguardi: quello del fare e quello del guardar fare. Soltanto quando l'uomo ha imparato a guardarsi, è diventato filosofo. Oggi siamo tutti figli di quel secondo sguardo - anche quelli che non si chiamano filosofi.

Io distinguo fra filosofi e professori di filosofia. Ogni filosofo può essere un buon professore di filosofia, ma non ogni professore di filosofia può essere un buon filosofo. Oggi c'è sovrabbondanza di professori di filosofia, ma penuria di filosofi. Questo poichè i professori di filosofia sono i primi a non aver bisogno di filosofi.

Essere una persona scomoda? E' un complimento. Tutte le persone scomode dicono qualcosa di vero.

Bisogna essere pronti alla libertà. Dare la libertà a chi non è pronto a riceverla è come dare una pistola in mano ad un bambino. Libertà è disciplina e auto-controllo. La libertà senza disciplina e auto-controllo è schiavitù. Rousseau diceva: "libertà è obbedire alle leggi che noi stessi ci siamo date". Il segno della misura che il culto della libertà ha oggi nell'Occidente è dato dalla facilità con la quale in alcuni paesi chiunque può acquistare un'arma da fuoco.

Catullo da poeta scrisse: "Il vuoto dei tuoi giorni, Catullo, è il tuo male In questo vuoto perdi ogni freno Ti ecciti oltre misura Signori antichi città felici Così perirono". Mai verità fu più vera.

Il più, nella vita, è avere una possibilità - sempre.

Da che cosa dipende avere la propria possibilità? Per la maggiore dal caso, che, quand'è propizio, si chiama "fortuna"; per il resto da noi.

Non giudicare un uomo dalle risposte che si dà, ma innanzitutto dalle domande che si pone: questo è un monito di saggezza. Oggi in generale si fa il contrario, e questo poichè c'è qualcun'altro che ti pone le domande.

Queste sono dieci risposte a dieci domande che mi sono posto negli anni da me: sembrano più di dieci, ma in verità sono esattamente dieci. Forse qualcuno di voi s'è posto le stesse domande; probabilmente s'è dato risposte diverse: in ogni caso lascio a voi indovinare le domande. Ad ogni modo, la risposta più importante è sempre quella alla domanda che non ci siamo ancora posti: per me l'undicesima.


C.M.



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